LionViper K.
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Terra di colori vivi e di sfumature, dove da secoli l’opera della natura asseconda quella dell’uomo. È dai tempi della Magna Grecia che Grottaglie vive plasmando l’argilla del suo sottosuolo. È qui, nelle botteghe ricavate nella roccia - le grotte di un tempo - che nascono oggetti unici di ceramica, vasi, capasoni (grandi contenitori per olio e vino), acquasantiere, cavalieri e amazzoni, fiasche portavino in smalto, brocche, zuppiere ricche di decorazioni e mille altri prodotti preziosi, ormai noti in mezza Italia. Raccontano di questo paese di 33 mila abitanti appollaiato su una collina ai margini meridionali delle Murge, a poco più di 20 chilometri da Taranto, che da anni luce riesce a trasformare la terra in opere d’arte. È l’unica città della ceramica con un quartiere interamente dedicato alla produzione di questo tipo di oggetti: una cinquantina di botteghe distribuite su 20 mila metri quadrati sulla gravina di San Giorgio, vicino al centro storico e ai piedi del trecentesco Castello Episcopio, un tempo residenza dei vescovi di Taranto. «In realtà - precisa Orazio Del Monaco, presidente dei ceramisti di Grottaglie -, le grandi famiglie di ceramisti, quelle regolarmente iscritte alla Camera di commercio, sono 20-25». E il numero scende ancora se si considerano i nomi storici: Del Monaco, Fasano, Monteforte e pochissimi altri.
Come si diceva, le testimonianze di questa attività si perdono nella notte dei tempi, ma è intorno al XV secolo che si hanno le prime notizie documentate di una produzione sistematica di ceramica a Grottaglie. Per il paese è una vocazione. A influire è anche una serie di circostanze: territorio ricco di argilla, presenza di grotte, anfratti e ipogei, risorse idriche, zona ventosa (il vento favorisce le operazioni di essicazione degli oggetti). È quello, il XV secolo appunto, il periodo in cui si afferma la lavorazione della ceramica «povera», di tipo contadino, grossi manufatti destinati all’uso quotidiano. Solo più avanti si farà strada la ceramica «Faenzara», costituita da oggetti ricchi di decorazioni, meno rustici, più curati nei dettagli, ambiti soprattutto dagli aristocratici. È lo stesso artigianato artistico che, negli anni 50 e 60, sostituirà quello dei prodotti più comuni messo in crisi dalla rivoluzione della plastica.